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i podcast della quarantena

La vita in quarantena è piena di alti e bassi ma la creatività dell’essere umano spesso cresce proprio nei momenti più avversi. Succede così anche all’interno del mondo podcast.

In un articolo precedente vi avevo consigliato l’ascolto di cinque podcast indispensabili per iniziare a produrre podcast. Con la specifica di evitare che il vostro primo lavoro fosse dedicato alla situazione attuale. Questo perché dall’inizio del fenomeno Coronavirus sono state centinaia le nuove uscite podcast sul tema. Il 23 marzo Podnews, newsletter che offre quotidianamente aggiornamenti sul mondo podcast, riferendosi ai dati della piattaforma di streaming audio Acast, ha riportato che dal 22 gennaio sono nati circa 1400 episodi podcast a tema Covid-19. E qui si parla di una sola piattaforma nonché di dati che arrivano fino settimane fa e in parte di podcast già esistenti.
Solo scorrendo la ricerca di Spotify con keyword “Coronavirus” i risultati sono centinaia. Se si usa la keyword “quarantena”, quindi vertendo solo sulla produzione italiana, tra native podcast e produzioni radiofoniche re-distribuite on demand i risultati sono circa 130. E calcoliamo che non tutto viene necessariamente pubblicato su Spotify, altre produzioni si trovano su Spreaker e Apple Podcast.

Questi podcast si dividono principalmente in quattro categorie:

  1. Quelli che propongono news e informazione come Coronavirus: il microscopio sui numeri prodotto da IlSole24ore o Paziente Zero di Lorenzo Paletti e Valeria Cagno, ma questi non sono propriamente inerenti alla keyword “quarantena”. 
  2. Le classiche cronache da quarantena: diari, consigli, sguardi sulle opportunità dell’isolamento.
  3. Ci sono i podcast che propongono argomenti altro per passare il tempo in quarantena: letture, monografie su artisti, cronache storiche ecc.
  4. E poi c’è il puro intrattenimento, i podcast che puntano al divertimento e alla fantasia a sfondo quarantena, spesso programmi radiofonici ripubblicati in podcast.

La domanda è: ne abbiamo bisogno? Che si traduce in: quanti di questi podcast sono validi in termini di estetica e di contenuti? La mia risposta è: non molti.

Qui una piccola lista di quelli che, secondo me, possono essere interessanti e degni di nota.

  • RadioLondra2020 di AudioTales Prodution: la quarantena raccontata per temi da voci quotidiane guidate dal narratore Giovanni Savarese. Un modo di trattare le storie degli altri senza banalizzarle, raccontate direttamente dalle voci dei protagonisti ed enfatizzate da un efficace uso dell’intreccio musica-parole. Nella puntata 11, inoltre, potete trovare la testimonianza di Luca Gullo che racconta l’esperienza attuale della nostra Radio1088.
  • Amore e quarantena di Meetic: simpatiche pillole di sopravvivenza a tema amore e sessualità. 
  • Decameron di Johnny Faina: anche questo un podcast corale. Johnny è catapultato sull’isola di Komodo per la fine del mondo causa coronavirus e, come un novello Boccaccio, da voce alle persone in isolamento per un totale di 10 puntate. 
  • Corona Vino di Dario Rossi con Furio Camilli e Lorenzo Trivago: un podcast da esaurimento ad alto contenuto di risate e follia. Canzoni riarrangiate e travisate, nessun tema apparente, tanti ospiti e puro intrattenimento. 
  • Storie dalla quarantena di Storytel: l’attrice Letizia Bravi ospita in ciascuna puntata un artista, un professionista, un esperto che abbraccia un tema e lo approfondisce. Paura, salute, crisi, informazione sono alcuni dei topic trattati con la giusta dose di ponderazione e leggerezza.
  • Metrogag. Gag a 1 metro di distanza di Ivan Emanuele: due vicini di casa, Ivan e Charlotte, hanno deciso di passare la quarantena insieme. Ogni giorno chiacchiere informali e risate su tutto quello che sta succedendo dentro e fuori le nostre case.

 

Ne ho ascoltati altri di podcast a tema. Ma la verità è che tanti sono uguali tra loro. Il raccontare come personalmente si sta vivendo la quarantena è sicuramente una valvola di sfogo ma rende la maggior parte di queste nuove uscite praticamente identiche. Non che abbiano tutte per forza pretesa di originalità. Molte di queste hanno un solo episodio all’attivo, spesso pubblicato settimane fa. Questo è sintomatico di come alcune di queste pubblicazioni, probabilmente, siano venute alla luce per noia e senza nessuna vera progettualità dietro. Alcune, poi, sono veramente inascoltabili e non meritano neanche menzione, seppur negativa.

Tra le nuove uscite, come detto prima, troviamo anche podcast che trattano di cose che col coronavirus centrano ben poco: letture, recensioni, blog di storia, insegnamento, arte, sport. Tuttavia, esse presentano nel titolo (o nella descrizione) il termine “quarantena”. Rossella Pivanti, podcaster e producer, nel suo blog mette in luce la questione puntando sulla contrapposizione tra opportunità e opportunismo. Partendo dalla visione del mezzo podcast come strumento per veicolare un messaggio di cui l’host è il responsabile morale, Rossella pone delle domande sacrosante che si possono raggruppare in una sola: ha senso, in termine di format, categoria tematica e responsabilità morale, parlare di coronavirus/quarantena o usarne il potenziale di onnipresenza anche solo inserendo quella parola nel titolo o nei tag? Oppure lo si sta facendo solo per cavalcare l’onda e guadagnare visibilità?
Questo vale per le nuove uscite ma anche, e soprattutto, per i podcast già esistenti che flettono la propria natura, se non compatibile già inizialmente, a favore del tema “virale” di oggi. Va bene se un podcast parla di news, di comedy rapportato al quotidiano, d’attualità. Tuttavia, se parla di architettura o di videogiochi è giusto cercare di ripiegare sul tema coronavirus, avendo di per sé una mission già impostata e magari già funzionante? E in che modo farlo? Sono domande che cercano di responsabilizzare il podcaster e le cui risposte sono molto variabili ma sicuramente utili ad evitare la creazione di contenuti che in poco tempo potrebbero diventare spazzatura.

Creare podcast si, dunque, ma non necessariamente circa quello che sta succedendo. Il bello del podcast è che ha una coda lunghissima: produzioni nate mesi o anni addietro possono essere riscoperte molto tempo dopo se hanno valore. Forse, dunque, è meglio creare podcast con una progettualità precisa. Farlo ora che si ha del tempo ma prendersi l’impegno per un periodo a lungo termine.

Domandiamoci: una volta che tutto questo sarà finito cosa vorrà sentire l’ascoltatore?

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